Di memoria, perché esplicitamente si ricollegano alle regole delle villae rusticae codificate da Varrone e agli spazi destinati alle colture dei monasteri benedettini: horti, pomaria (frutteti), viridaria (giardini alberati), erbaria (erbari).
Di futuro, perché “realizzano” alcuni concetti fondamentali attraverso i quali vogliamo siglare un nuovo “contratto” con la natura: biodiversità, filiera corta, agricoltura biologica, bellezza, conoscenza.
Giardini che hanno l’ambizione di diventare un supporto didattico di una pedagogia dei saperi naturali, pensata per le scuole e per i giovani studenti, ma anche per visitatori di Vitalonga. Giardini che vogliono rappresentare un Mondo Possibile, un’eventualità naturale dedicata alla conservazione dei sapori e delle antiche tradizioni che caratterizzano e rendono unica l’agricultura italiana, le sue biodiversità, la sua storia.
Il frutteto (pomaria) raccoglie una selezione di antiche piante da frutto autoctone a rischio di estinzione, recuperate dall’archeologa arborea Isabella dalla Ragione: Pera di Monteleone, Pera Briaca, Mela cul di Somaro, Ciliegia bianca o limona, Ciliegia bella d’Arezzo, Cotogna Maliforme, Mandorlo Mandolino, Pesca Sanguinella, Pesca cotogna settembrina.
L’orto (hortus) separa le colture precolombiane da quelle importate dal Nuovo Mondo. Un gesto “didattico” per mostrare, con un’unica visione, la grande cesura gastronomica e colturale rappresentata da piante oggi ritenute da sempre presenti (pomodoro, patata, fagioli, mais…). Ovviamente, la produzione dell’orto verrà destinata ad alimentare la dispensa e il menu del ristorante della tenuta.
Negli erbari (herbaria) si coltivano piante aromatiche e officinali, anch’esse destinate alla didattica e ai piatti del ristorante.
Anche il piccolo vigneto a “vite maritata” – una pratica di coltivazione di origine etrusca che usa come tutore un albero vivo (in genere un olmo) – è stato concepito come un giardino. È una “sezione” del paesaggio tipico di queste terre, modellato da vigneti coltivati secondo il modo “promiscuo”, un residuo di un tempo antichissimo che produrrà l’uva destinata ad una vinificazione ancestrale in orci di terracotta.
Le grotte etrusche situate sotto la nuova cantina testimoniano, insieme alle “viti maritate”, il passaggio di un’antica civiltà rurale etrusca che popolava l’area tra le due città di Orvieto e Chiusi, come testimoniato dai ritrovamenti archeologici lungo le sponde del fiume Clanis. Una delle tre grotte è particolarmente interessante perché subì molte trasformazioni nel corso dei secoli: nel diciannovesimo secolo era una cantina contadina, utilizzata fino alla metà del XX secolo.
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